su "Un uso qualunque di te"
“Un uso qualunque di te” è un libro a più velocità. Il titolo è accattivante, malinconico, rassegnato. Salta all’occhio perché ricorda quella trasandatezza a cui tutti aspiriamo, in un momento della nostra vita: il potersi lasciare andare, il potersi trascurare, fare un uso qualunque di noi.
Quando la lettura inizia, si è in media res: è successo qualcosa, qualcosa di grave, la protagonista Viola non è raggiungibile, non viene a sapere subito cosa è successo a sua figlia, e racconta usando la prima persona come vive l’annuncio di un dramma in corso. Sara Rattaro è bravissima e incisiva in determinate frasi; è mozzafiato, costringe a centellinare le prime pagine, perché intense e abili nel rendere l’idea di cosa accade dentro di noi i primi istanti dopo una brutta notizia. Sentirsi un castello di carte, sentirsi riempire di segatura.
Quando la lettura prosegue, l’attenzione continua ad essere calamitata qua e là da pillole di pensieri che innescano riflessioni sulle relazioni, sui rapporti umani, sui tradimenti, e sull’abisso tra il sapere quello che va fatto e il farlo veramente. La protagonista cerca di condividere, o giustificare, agli occhi dei lettori, di sua figlia Luce e di suo marito Carlo i suoi comportamenti, le sue scelte, le sue cadute, dettando tempi diversi alla lettura, ora più lenti, ora in eccesso, ora più risolutivi. L’operazione non è facile da condurre, senza scadere nel patetico o nel vittimismo, ma per fortuna la narrazione è puntellata di una scrittura capace e abile, e si passa volentieri ad un altro libro della stessa autrice.
“La dipendenza altera i comportamenti.
Una semplice abitudine si trasforma in una ricerca esasperata La ricerca di quello che ti dà piacere. Ma a un certo punto qualcosa cambia e la rotta s’inverte. Smette di farti bene e inizia a farti male. Ogni giorno di più perché, purtroppo, per quanto ci stia lentamente uccidendo, rinunciarci è peggio.
L’amore è una dipendenza”
Un uso qualunque di te
Giunti Editore
208 pagine
8809771338