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Il romanzo siriano è diventato essenzialmente un romanzo di guerra.

Sono uno scrittore ossessionato dal dolore di un popolo in lotta; la letteratura che scrivo è un tentativo di partecipare alla loro lotta.

Diventa inevitabile chiedersi se la democrazia può nascere dal sangue e se può essere esportata o imposta con le armi.

In tempi di guerra abbiamo molto più bisogno di operatori di pace che non di generali.

La ricerca della conoscenza e la scoperta di una grande arma sono praticamente la stessa cosa. La guerra è il padre di tutto.

La mia arma è la fotografia, non a caso in inglese si dice "to shoot", che significa anche sparare, per fotografare.

Dobbiamo creare un’alternativa alla guerra, incanalando positivamente l’energia, la potenza di energie e di capacità che c’è nell’essere umano verso le altre persone, perché capiscano di essere equivalenti.