Il segreto
La mafia dei fiori a Roma comincia di primo mattino, quando arrivano i tir dall’Olanda, ma prima di entrare nel mercato ufficiale per la grande distribuzione, due mammasantissimi della camorra fanno i prezzi per il mercato delle “apette.” Un mercato totalmente abusivo, ma del quale si servono gli stand romani, quasi tutti in mano ai clan. Per il lavoro duro e, perfino, per la vendita ambulante, i più richiesti sono i pakistani e i bengalesi, che si possono reclutare a basso costo.
Mio fratello dal Bangladesh ha portato tre fotografie della famiglia, una catenina d’oro di nostra madre e la tubercolosi. È morto sabato.
Arturo, il padrone, ha detto: Hai visto tuo fratello? È morto e mi ha lasciato in mezzo ai guai. Ora devi lavorare di più se vuoi stare qui. E subito mi ha dato un nuovo incarico: siccome il furgoncino gli serve, devo portare a piedi i fiori dal banco di San Paolo, dove arrivano, fino allo stand in fondo al viale Giustiniano imperatore. Ho dovuto fare tre viaggi con le casse.
Invece, la donna che sta con lui è una napoletana grassottella che mi vuole bene e mi chiama "piccirillo" (che significa piccoletto). Mi accarezza e mi dà i bacetti. Quando mi stringe sul petto succede che il mio cosino si fa grande, io mi vergogno e spero che non ci faccia caso, ma lei, ieri, ci ha fatto caso.
“Che hai combinato, piccirì?” “Che ho combinato?” “Ah, allora fai il furbo? Questo vedi?”
E me lo ha stretto forte. Io mi sono messo a piangere, perché mi aveva scoperto.
“Vabbé, per questa volta ti perdono. Del resto tu sei il mio piccirillo, ma tu non parlarne mai con nessuno, che se lo viene a sapere Arturo, ci ammazza a tutt’e due: Hai capito? È un nostro segreto”