Due Cento sessantadue

Il cielo è in divisa, ogni stella  è una lapide alla
caduta, una mandata al valore. Ma nessuna fra
quelle è per me: non c'è un carro che porti il
mio nome e Venere è una scura sutura, non una
sola costellazione sarà il segno di mio figlio o
delle sue mani. Ieri ho guardato il mio polso,
è più stretto della volta che gioiva fra le tue dita,
è un utero che spinge all'indietro, la felicità
è pigra e podalica, una strada in dissesto,
un cantiere di orrori rimandati.  La vena è
avvizzita, tutto il sangue che voglio non
mi darà più cuore del giorno in cui scoprivo
i tuoi occhi. Ogni mio osso si aggrava,
resiste in equilibrio la bianca, cieca architettura,
come una stella sopporta il suo turno, non diserta,
ma neanche fa più miracoli.