Hedna - tratto dal romanzo inedito HOBERTUS

 
Hedna

Hedna era greca, trasferita li solo da un anno per motivi familiari. Effettivamente era bellissima anche lontana da una fontana. Aveva l’aspetto di una tipica ragazza benestante, se il “benestantesimo” puo’ avere dei connotati. Pero’ si, in fondo, i bei capelli neri lunghi e lisci, il volto raffinato senza strane rotondità, o esagerazioni nasali , le gambe cosi lunghe, le orecchie piccole, un pò a sventola tipiche delle belle ragazze che da piccole le coprivano con i capelli  e spuntavano lo stesso.
Una straniera che si mescolava all’Italia del Sud, raffinatamente bucolico, con reminiscenze del luogo d’origine. Ogni tanto qualche bizzarra spilla o acconciatura da fresca frasca di parrucchiere, ma era il tipo di capello, nero, perfetto, che sfidava Newton cascando a picco verso il culo.

LA CIOCCA DEI CAPELLI

Oh, posson echi ti iss’ esèan imeno,
Na kào ’na’ llazzon a’ ttutta maddhìa,
N’on bastazzo is’a chèria‐mu demeno,
Ce votonta na pao is pan ghetonìa.
A’ tto gheno na ime arotimmeno,
Azze pèi cafceddhan i’ tutta maddhìa.
Ine azze cafceddha poddhì sgrata
Pu m’ochi ti’ kkardìan ankatinata.

LA CIOCCA DEI CAPELLI

Oh, quanto è che ti aspetto
Per fare un laccio con codesti capelli
Da tenere alle mani mie legato
E andar girando per ogni contrada,
E dalla gente esser domandato
Di quale fanciulla son questi capelli.
Sono d’una fanciulla molto ingrata
Che m’ha il cuore tutto incatenato.


Aveva un cane, un setter. Studiava per diventare dottoressa in chirurgia estetica. Avanti e dietro, da e per la città dove c’era l’università. Era li per motivi lavorativi del padre, molto ricco, che aveva acquistato un palazzo intero della fine del ‘600, nel centro storico della piccola cittadina, proprio vicino alla “piscina”, dove peraltro al mattino facevano un rumorosissimo mercato rionale. Solo per questo motivo, Cosimo era contento di aver conosciuto Hedna, perché nonostante l’evidente ricchezza della famiglia, aveva mantenuto la genuinità di un popolo che non ha dimenticato anche la semplicità e la povertà. Era bello, per Hedna, comprare gli avogadi al mattino, scendere in pantaloni anche sporchi, di casa, e gettarsi sulle bancarelle di roba usata o giacconi vintage o prendere il pane per il babbo. Vederla uscire da quell’immenso portone di legno scuro, dove nessuno, nella città, era riuscito ad entrare, diveniva per lui un piacere, una grande soddisfazione:  andare a prendere la figlia del “signore del Palazzo del centro”.
Un dito medio innalzato alla montagna, sempre li a guardare, vecchia stronza.
Ma oltre l’apparenza, non c’era nulla che facesse sentire lui degno d’essere vivo. Non stiamo a raccontare chissà quale storia: è la storia di milioni di persone senza lavoro, che ad un certo punto sentono di non avere una vita.
Ma lui aveva Hedna, il suo corpo, i suoi capelli, la sua anima, la sua poesia: era una ragazza di 23 anni molto dolce, che tutti avrebbero voluto avere e per lui, ormai, era normale averla. Ma allora perché la mancanza di una dignità lavorativa personale faceva sentire inutile tutto il resto? In fondo poco bastava alla perfezione.
Forse un atto di coraggio, forse per lui andare via, forse diventare ciò che non era. Arrivare. Ma dove? Neanche le montagne lo avevano protetto dalla smania di avere un’identità vincente. Se prima la lotta era tra l’essere e avere, ora diveniva tra l’essere o avere un’identità superiore alla propria,  tra l’essere e l’essere altro da sé. Tra l’essere ed il decidere di essere. Tra l’essere e l’essere, che nei casi migliori significa emancipazione, in altri essere la maschera di sé stessi.
Lotta più difficile e subdola, quasi pericolosa. Ma l'anonimo Cosimo voleva semplicemente avere dignità per sé stesso, non chiedeva null’altro che un lavoro che potesse valorizzare le sue capacità.