I leoni che non vidi

Una giovane cameriera di colore è entrata nella tenda. Ha in mano un peluche colorato a forma di scimmietta. Mi alza il bordo della coperta e me la pone vicino ai piedi. Curiosa boule di acqua calda, che si confà alla ricercatezza di quest’accampamento, per turisti bene, in mezzo alla savana. Nonostante i brividi di freddo che mi attraversano il corpo, guardo l’eleganza di linee del volto di questa ragazza dal tratto serio, irraggiungibile. Ha gesti lenti e studiati, come se li avesse a memoria. Scioglie la bianca zanzariera sopra di me e la fa scendere. Lei resta oltre, ombra scura, sinuosa. Abbassa la fiamma della lanterna. Il mio cuore,  batte extrasistoli, con mia preoccupazione. Vorrei chiedere un termometro per misurarmi la febbre.  “In caso di febbre alta –dice il manuale turistico‐ doppia dose di antimalarico e rientro, in Italia, immediato”‐ Ma  io non ho la malaria, di questo ne sono sicuro. Andar via da qui è impossibile. Ho compiuto, come medico, un errore di valutazione. Viaggio in Sud Africa, in pieno agosto, tutte le profilassi d’obbligo; ma ho dimenticato che era inverno.  A due giorni dal mio arrivo a Città del Capo, l’autista del pulmino, sbanda su un tornante e si ferma in bilico su di un precipizio. La guida, una giovane studentessa, prende lei il comando dell’auto. ‐“E’ influenza, qui c’è una brutta epidemia! Siamo in inverno, ovviamente.”‐ mi dice. Non ci avevo pensato; non si valuta mai che in Africa ci possa essere l’inverno! Per cui, sono senza vaccinazione antinfluenzale.  Nei giorni successivi, tutti i miei compagni di viaggio, sei, sono colti da febbre alta, a turno. Per ultimo, è toccato a me, stasera, nel posto più sperduto del Parco Kruger, lontano da ogni assistenza e soccorso medico‐cardiologico. Abbiamo fatto in questi giorni varie uscite nella savana con i ranger. Ho rivisto gran parte degli animali della mia infanzia, quelli dell’abbecedario, Z…come zebra, G…come giraffa, R ..come rinoceronte. Li ho visti all’alba, infreddolito dall’aria gelida della 4x4, scoperta, e di notte alla luce dei fari. La voce metallica della guida bianca, che sembra snocciolare un rosario a memoria. ‐ “ No, niente elefanti: di questa stagione sono a 400 Km da qui, irraggiungibili.” Mi delude con quest’ affermazione. – “I leoni sono qui, attorno, ma vanno cercati”‐ Stasera al tramonto, non mi sentivo bene. I primi brividi. –“Dottore non viene con noi? Si va per leoni. Le guide li hanno segnalati a pochi chilometri da qui.”‐ I due ranger vestiti con una scenografia cinematografica, fucile possente, ben visibile, sono già sul predellino della  Rover. Abdico e resto solo in quest’ accampamento fatto di lussuose tende sopraelevate su di una struttura di pali, accuratamente circondata da fili ad alta tensione. Ho il cielo stellato che si apre fragorosamente sopra di me e alcune lanterne che delimitano il salotto all’inglese, con comode poltrone di pelle. I camerieri sono spariti, non  ne individuo la presenza. Suoni che non conosco, versi di animali che ignoro, fruscii, zoccoli timidi, oltre la palizzata. Ben presto mi coglie la noia. Sento il bisogno di camminare, di sciogliere i muscoli. L’uscita è di fronte a me. Non c’è porta, ma  un fossato di tre metri, attraversato da una serie di aste di ferro con la superficie superiore a lama, in modo che le zampe degli animali ne avvertano il pericolo. Poggiando la scarpa su tre lame, contemporaneamente, a ponte, si può camminare, solo con un leggero fastidio. Decido di uscire. Solo quattro passi, in questa strada che si perde nel buio stellato. Uscire da una prigione fa sempre piacere. Risento scorrere le forze nelle mie gambe. Un tratto di strada, come se fosse un viale di Calabria. La volta celeste preme su di me. Uno spolverio di luci che mi affascina. I bordi della strada hanno cespugli neri. Mi sento guardato, ma non vedo.  So che non mi devo allontanare. So di aver fatto un’imprudenza e ritorno. Riprendo la mia poltrona. I brividi di febbre iniziano. Una coperta su di una mensola mi soccorre. Un rumore di auto fuori, fari come lame nel buio. Mi devo essere addormentato. Fasci di luce gialli disegnano linee nella notte. Il rombo dei motori si confonde col pulsare del sangue nelle tempie. La febbre sta salendo. Eccoli sono di ritorno. I fari mi abbagliano. ‐“ Dottore, abbiamo cercato tanto i leoni, ed erano qua fuori!”‐
Da un ricordo dell’estate 2001. L.P.R.