L'uomo dall'abito blu

Da Max bevemmo vino rosso italiano. Franz ci lesse il racconto "La Tana". Mi sembrò bellissimo. Max non ne fu entusiasta e lo disse francamente. Accompagnai Franz a casa.

Camminavamo senza parlare per via del vento sferzante.

Il mio amico ebbe un attacco di tosse e si fermò sotto il portico del Banco di Boemia. Si asciugò la bocca col fazzoletto, che subito nascose in una tasca del pastrano.

Gli chiesi se stesse male, mi rispose che si sentiva più o meno come al solito. Gli esposi la mia prima impressione su "La Tana": la certezza che mai una verità metaforica fosse stata esplorata con tanto rigore. Lui soprappensiero disse che invece Max aveva ragione.

Riprendemmo a camminare svelti in silenzio. Incrociammo una prostituta infagottata, che batteva i piedi per il gelo. Mi sembrò molto giovane e pallida. Ci sorrise. Franz salutò con familiarità, alzando un braccio.

L’Altstadter Ring era sottosopra per lavori di fognature. Bisognava, di tanto in tanto, saltare sterri e fossati o camminare in equilibrio su assi di legno. Un monticello di terriccio e mattoni ostruiva quasi l’ingresso dell’abitazione di Franz. “Franz – dissi – hai deciso di barricarti?” Si girò e sorrise.

Era bello vederlo sorridere.

Aprì la porta di casa, facendo attenzione a non far rumore. Si tolse le scarpe e mi fece segno di fare altrettanto. Nel corridoio, a tentoni, passammo davanti alla camera dei genitori. Si sentiva il russare cavernoso del signor Kafka. Quando Franz accese la luce elettrica nella sua stanza ebbi l’impressione che avessero cambiato la disposizione dei mobili.

Notai sul sofà un uomo giovane in abito blu. Fissava il soffitto con un sorrisetto ironico. Chiesi a Franz chi fosse, mi rispose che non lo conosceva, ma che lo trovava sempre lì, disteso, nella stessa posizione, ogni notte. Mi rivolsi direttamente al giovane, pregandolo di presentarsi. Lui si comportò come se non avesse sentito e, girandosi verso il muro, prese a fischiettare spudoratamente. Franz si tolse il pastrano e lo adagiò sulle gambe del giovane. “Forse – disse – vuole entrare nel mio romanzo”. Non sapevo che Franz stesse lavorando a un romanzo.

“Ma bisognerebbe - osservai – che tu sapessi tutto di lui. Non ti pare?” “Forse stanotte parlerà” “Allora occorre che me ne vada. Non credo che si sbottoni in presenza di un estraneo.”
“Sì, è così. Anche io lo penso.” “Allora me ne vado?”

In quel momento Franz ebbe un altro terribile attacco di tosse. Cercò il fazzoletto nelle tasche, si ricordò di averlo messo nel pastrano e tentò di estrarlo senza disturbare il giovane che si era addormentato. La delicatezza del mio amico mi parve eccessiva, mentre un colpo di tosse più forte gli portò un fiotto di sangue che macchiò la camicia.

L’uomo dall’abito blu, che evidentemente non dormiva,afferrò la mano destra di Franz e ridendo istericamente, lo tirò verso di sé come per baciarlo sulla bocca. Franz si svincolò con uno strattone, prese un righello dalla scrivania e cominciò a percuotere il giovane. Questi si proteggeva il viso, facendosi scudo con le braccia. Sghignazzava senza ritegno e pedalava comicamente nell’aria, riuscendo a mantenere la distanza e a scansare molti colpi. All’improvviso, con un balzo imprevedibile, raggiunse la porta e scomparve nel buio del corridoio. Lo rincorremmo, lungo le scale e giù in strada. Correvamo appaiati, senza scarpe, che non avevamo avuto il tempo di indossare. Purtroppo non guadagnavamo terreno sul giovane, che correva veloce. Dopo una cinquantina di metri, ci fermammo, rendendoci conto che non lo avremmo raggiunto.

Il vento era sceso e cominciava a nevicare. Franz mi strinse la mano e se ne andò senza dire niente.

Rividi quel giovane dopo molti anni.

C’era stato uno sciopero e i treni internazionali partivano in ritardo. Su una poltrona vuota a fianco alla mia, nella sala d’attesa della stazione di Francoforte, vidi un libro che qualcuno doveva aver dimenticato. Era un romanzo in edizione tascabile. Ne avevo certamente orecchiato il titolo, ma non l’avevo letto. Lo presi per dare un’occhiata. La sala era piena di ragazzi e ragazze che parlavano a voce alta, ridevano e mi impedivano di concentrarmi su quella lettura.

Annunciarono un treno in partenza e con mio sollievo i ragazzi, tutti insieme, abbandonarono la sala. Ripresi a leggere dall’inizio e subito mi convinsi che il protagonista di quel romanzo era proprio l’uomo che Franz ed io avevamo inseguito quella notte.

Ritenevo di essere solo nella sala,non avevo fatto caso che, in un angolo, a terra, con la testa appoggiata al muro, un vecchio barbone dormiva a bocca aperta. Accanto a sé aveva una lattina di birra.

Entrarono due poliziotti che si misero a cercare qualcosa sotto le poltrone. Uno dei due si avvide del vecchio e lo chiamò: “Ehi!” Il barbone cambiò il ritmo di respirazione, ma non si svegliò. Il poliziotto dette un calcio alla lattina. Il vecchio spalancò gli occhi e, in un primo momento, non si raccapezzò del luogo dove si trovava.

“Non puoi stare qui. È proibito. Fuori!” - disse il poliziotto.

Il vecchio si accorse della lattina riversa e della birra sul pavimento e guardò il poliziotto con rancore.

“Forza, giovanotto, fuori!” Gridò ancora il poliziotto. Il vecchio si toccò in mezzo alle coscie e disse: “Ora mi succhi il cazzo, sbirro di merda!”

Il poliziotto non raccolse la provocazione e si limitò a ripetere: “Fuori! Qui è proibito non ci puoi stare. Fuori!” Dette un altro calcio alla lattina, che rotolò fino ai miei piedi. L’altro poliziotto la raccolse e la scagliò fuori sulle rotaie. Il vecchio scatarrò e si allontanò lentamente. I due ripresero a cercare chissacché sotto le poltrone. Quando vennero dalla mia parte, alzai i piedi. “Stia comodo” disse quello che aveva lanciato la lattina sulle rotaie. Poi se ne andarono anche loro.

Fu a quel punto che il giovane uscì dalle pagine del libro e mi si parò dinanzi. Indossava lo stesso abito blu di quella notte e aveva il medesimo sorrisetto irritante. Girò una poltrona e si sedette di fronte.

“Mi riconosce?” - disse. “Sì,l’ho riconosciuta subito nella prima pagina.”

Mi guardò compiaciuto. Si accostò sollevando la poltrona fin quasi a sfiorarmi le gambe.

“Sa, io ero una creatura del signor Franz. Ma il signor Franz non era buono con me.” “Vedo che si è sistemato bene in questo romanzo”. “Non mi lamento, siamo alla dodicesima edizione.”

Si guardò intorno con fare circospetto e piegando il busto in avanti, come chi voglia confidare un segreto, disse: “Al principio fu terribile. Tutti mi scacciavano, tutti mi chiudevano la porta in faccia. Ho sofferto molto. Finalmente dopo anni di umiliazioni, quando avevo perduto ogni speranza, è venuta una schiarita; a poco a poco cominciarono a piovere offerte. Mi si aprirono molte strade, molte possibilità. Potevo scegliere io. Lei era buon amico del signor Franz? Non è vero?”

Senza attendere risposta e con un’insopportabile risatina, aggiunse: “Lo sa che vado al di là dei miei compiti, facendole queste confidenze?”

“Non ho chiesto le sue confidenze” - dissi risentito. “Se l’è presa a male?” “No, ma mi dà fastidio.” “Sa perché ho scelto quest’autore?” e indicò il libro che avevo in mano. “Sa perché?” “Non lo so” “Non riesce a immaginarlo?” “Direi proprio di no!” “Perché ha la stessa identica forza del signor Franz.” “Ma che va blaterando, è impazzito? Si vergogni! Lei è un miserabile ladruncolo!”

Lui rispose con quel suo sorrisetto osceno.

In quel momento annunciarono la prossima partenza del mio treno. e l’uomo dall’abito blu rientrò nelle pagine del libro. Per un secondo pensai di portare con me quel romanzo e leggerlo durante il viaggio per vedere quanto avessero rubato dalla grande arte di Franz, ma il pensiero di dovere ancora trovarmi di fronte quell’uomo col suo sorrisetto schifoso, mi fece cambiare idea. Rimisi il libro dove l’avevo trovato e mi affrettai a raggiungere il treno.