Le mani

un grido al cielo e uno a te, che tanto siamo qui a impastarci, a passarci gli aquiloni sugli occhi, a mettere terra, a mettere mare come distanza. Intanto, se vedi, si spaccano le mani d'inverno e passa fra i campi della bassa il mio treno. Non la vedo io questa splendida bellezza, o la steppa sicilia, in estate. la mia gente ha ancora le mani di grano, e internet per fare impresa, per la spesa che gliele riga. Al mio paese gli alberi resistono, come i vecchi in fondo alla strada, con la borsa per il tumore, con la tristezza di essere uomo da prima e ancora, da una parte all'altra del tumore. O di quando mi regalavano le racchette da Tennis che i figli no, non giocano più, e chissà che avvocati, chissà che ingegneri che si sono fatti. Io poi le perdevo nelle sciare, fra scrosci di serpi e pacchetti di patatine, è andata sempre così, io bambino, la mia meraviglia nello sciupare il dismesso e divertirmi, nel contare le palline gialle sul cemento e pregare di non averne delle nuove, che non sapevano di campo, non avevano storia e io: non c'era l'età per fargliene una. Poi una volta volevano che mio padre facesse il sindaco, anche lui, anche lui disse amici, amici, non siamo amici e le mie mani, le mie mani conoscono la penna come il giallo del campo e lo scrivono e no, grazie ma chiudo le serrande, scrivo qualcosa cheppoi questo mi rimane, scrivere e giocare a calcio sul cemento se si disfa e si fa campo buono, terra grassa. Io non capivo, mi stavano venendo le mani a stelo, lunghe, magre, contadine. Le ho volute portare fra le vie delle città, mi mancavano le idee, adesso sono nere, al mio paese non ci sono più i vecchi con la borsa del tumore, sono passati all'altra riva, a essere, e con che sorpresa, a essere uomini, tremendamente uomini da prima e ancora, ancora.