Non solo dieta

In quel periodo io e Mario eravamo una vera supercoppia. "Super" perchè io pesavo novanta chili e lui centodieci. Lui almeno poteva servirsi di una sola taglia, mentre per me era diverso. Io ero divisa in due: taglia 56 dalla vita in su e taglia 54 dalla vita in giù. Il punto vita, in perenne litigio con ambedue i piani, non era più un "punto" ma era diventato un cerchio di tutto rispetto. Si sarebbe potuto affermare, secondo i canoni di bellezza femminile che vogliono il corpo delle donne a forma di anfora, che nel mio caso avrebbe potuto trattarsi, sì di anfora, ma capovolta. In considerazione del fatto che lo specchio ci rimandava la triste fotografia del nostro superfisico, nel senso che ce le restituiva proprio, in quanto non ne voleva sapere di specchiarci, ci eravamo resi conto di essere ormai prigionieri della spirale "ingrassi perchè mangi ( e bevi), e mangi (e bevi) perchè ingrassi". Fu perciò indispensabile prendere una decisione drastica. Mangiare e bere meno? Il solo pensiero ci gettava nella malinconia più acuta. Prendere farmaci? Non se ne parlava proprio, non era da noi. E allora? E allora la soluzione era lì a portata di mano: lunghe passeggiate in montagna. Ovvio che l'idea fu di Mario, visto che lui era un montanaro doc, un vero appassionato delle vette, delle praterie ad alta quota, dei laghetti con pesca delle trote, e via dicendo. Come al solito la decisione non fu messa ai voti. Lui decise, lui si entusiasmò anche da parte mia, lui si complimentò a lungo con se stesso, e poi mi rese partecipe del suo piano.
"Allora, sei contenta?"
"Come no!" E chi era più felice di me? Tutti.
"Bene, prima di tutto ci vuole l'abbigliamento adatto."
In men che non si dica mi ritrovai assieme a lui in un magazzino specializzato. Provammo e riprovammo, e quando finalmente ci guardammo allo specchio pensai che il nostro abbigliamento avrebbe fatto crepare di invidia tutti i montanari del mondo, e anche crepare dal ridere un numero inimmaginabile di persone.
Lo specchio questa volta fu pietoso e sopportò la nostra vista.
Naturalmente i cappelli di tela da cowboy con tanto di cordicella legata sotto il mento non potevano mancare; potevamo indossarli sulla testa, oppure appesi sportivamente sulle spalle, tanto la cordicella legata sotto al mento li avrebbe trattenuti. Non potevo sopportare quella maledetta cordicella. Io ho sempre sofferto di claustrofobia e continuavo a deglutire perchè quel legaccio mi dava fastidio al pomo d'Adamo. (Alt! Per chi non lo sapesse ce l'hanno anche le donne). Dovevo pazientare, avrei potuto disfarmi del cappello solo dopo la prova generale. 
Una bella camiciona di flanella a quadrotti rossi vivacizzava le nostre facce già  colorite per natura.
"Mario, ma di flanella! Guarda che avremo caldo!"
"Figurati, andremo in alto e in alto può esserci il vento, può coglierci un temporale improvviso, vanno bene così" Non erano ammesse repliche, e così scesi con lo sguardo a considerare i pantaloni. Quelli erano di velluto a coste color cagarella, e in più alla zuava: chiusi da un bordino sotto il ginocchio. Io non li avrei voluti così, ma la mia taglia non mi consentiva di scegliere e mi dovetti adattare. La parte di gamba  che avanzava dal pantalone era vestita da calzettoni di lana rossi, e, dulcis in fundo, i piedi erano imprigionati in un paio di tenaglie stringate: scarponi da una tonnellata. Appena tentai di sollevare i piedi da terra capii che con quei calzari non avrei fatto nessuna passeggiata, anzi neppure pochi passi.
"Mario, ma non ti sembra un po' troppo?"
"Ma va! In montagna si va così, certo non ci vestiamo così a Torino, ma vedrai, in montagna sono tutti vestiti così."
Devo dire che nutrivo forti dubbi.
"Ma gli scarponi sono troppo pesanti!"
"E' solo questione di abitudine. Quando li avrai messi una volta, la seconda sarai in paradiso"
"Speriamo solo metaforicamente" pensai io.
Continuavo a guardarmi nello specchio che non riusciva neppure a contenerci tutti e due, e cominciava a perdere la pazienza. Dopo un po' stabilii criticamente che avevamo operato un missaggio, non tanto ben riuscito, fra la conquista del West e quella del K2.
E venne il giorno della prima gita. Il mio problema più importante era uscire di casa e raggiungere l'automobile ad una velocità che impedisse a chicchessia di vedermi. Ma non sono mai stata particolarmente fortunata, e incontrai una vicina che mi bloccò nell'androne a parlare non so più di cosa.
"Eh, ma dove andate vestiti così! C'è qualche corteo storico? Certo che siete belli grossi voi due, e anche alti, non passerete di sicuro inosservati." Ne ero certa.
La mia faccia e la mia camicia avevano lo stesso colore.
"Ma guarda come è bella colorita! Buona domenica, né"
"Sì, sì, anche a lei."
Mario mi vide fuggire e nascondermi in auto.
"Ma cos'hai, ti vergogni? Stiamo solo andando in montagna. Dovresti essere contenta."
"Appunto, è proprio questo il fatto: stiamo solo andando in montagna, ma la gente pensa che andiamo ad una festa di carnevale".
"Certo che pensa così. E' gente di città, cosa vuoi che capisca!"
Naturalmente, come potevano capire? Io sapevo soltanto che, nella fretta della fuga, avevo fatto una specie di corsa verso l'auto dimenticando completamente che indossavo gli scarponi ed avevo i piedi già doloranti. Mi chiedevo come fosse possibile tanto male visto che la lunghezza era quella giusta e in teoria il calzettone avrebbe dovuto fare un po' da ammortizzatore.
"Mario, ma questi scarponi sono da montagna o sono antinfortunistici?"
"Ma cosa dici!"
"Cosa dico? Sono di acciaio e ho le dita dei piedi che formicolano. Me li devo togliere."
"Mai togliere le scarpe che fanno male, poi non riesci più ad infilartele. Prendila con un po' più di allegria, semmai slacciali e li riallacci quando arriviamo."
Non mi restava che rassegnarmi.
"Dove stiamo andando di preciso?"
"Ad Exilles, al Forte. C'è una specie di festa, ci sarà anche un coro alpino."
Evviva, anche il coro. Se mai fossero stati a corto di note alte, col mio mal di piedi, avrei potuto sopperire io.
Di nascosto tirai fuori "un po'" di piedi dagli scarponi e mi misi a guardare dal finestrino.
Dalla foschia mattutina stava emergendo un sole pazzesco ad annunciare una giornata calda e splendente.
"Mario, a che altitudine è Exilles?"
"Circa 900 metri. Bene, vedo che cominci a partecipare."
In realtà mi stavo solo rendendo conto che sotto un sole del genere con la camicia di flanella e i pantaloni di velluto, mi sarei liquefatta.
Mi chiedevo se veramente non ci fosse un modo meno distruttivo di dimagrire, ma tanto era lo stesso.
Quando finalmente raggiungemmo Exilles e il forte, notai subito che la gente era tanta, sparpagliata sulle collinette e nei prati, comitive, famiglie con bambini, ma, sebbene io cercassi, nessuno era vestito come noi. Cercai di recuperare tutta la disinvoltura di cui ero capace e scesi dall'auto. Inutile dire che eravamo molto guardati, io e Mario, così grossi, così variopinti, così ingombranti! Io ero anche zoppicante perchè il mal di piedi era peggiorato. Riuscimmo a raggiungere la cima di una collinetta, e da lassù mi guardai attorno girando su me stessa, cercando di convincermi che non esisteva al mondo pamorama più appagante. Ma girandomi notai una donna, piccolina, seduta per terra che mi fissava sbalordita:
"Boia faus!" stava esclamando.
Ci misi un attimo a capire che non si era seduta per terra di sua iniziativa, ma ce l'avevo buttata io girandomi, e non me n'ero neppure accorta!
Certo da lì in basso, io e Mario dovevamo sembrarle due giganti.
Mi scusai e le porsi la mano per aiutarla ad alzarsi, ma anzichè aggrapparsi, lei fece il classico gesto di quando si vuole mandare al diavolo qualcuno.
Mi sentii in quel momento ancora più ridicola.
"Mario, io vado a sedermi in macchina. Mi fanno troppo male i piedi."
"Ma possibile che non ti vada mai bene niente?"
"No guarda che semmai sono gli scarponi che non mi vanno bene, comunque me li devo togliere. Tu fai quello che vuoi."
Quando gli parlavo così voleva dire che la sopportazione aveva raggiunto il massimo livello.
MI sedetti in auto lasciando finalmente che i miei piedi si allargassero a piacimento e si godessero la libertà.
Ah, che sollievo! Solo chi ha provato può capire!
Tolti gli scarponi il mio umore cambiò completamente. Cominciai ad apprezzare la giornata soleggiata, l'aria pulita e fragrante, il verde della vegetazione ed anche la bellezza del forte che si stagliava di fronte a me contro il cielo azzurro intenso senza una nuvola. Ma il mio relax durò poco. In mezzo alla gente vidi avanzare un cappello da cowboy, e siccome ce n'era uno solo in tutto il piazzale, sotto non poteva esserci che Mario, che venne diritto verso l'auto e aprì il portabagagli. Sentii rumore di cose spostate e poi vidi spuntare fuori dal mio finestrino, un paio di zoccoli. Mi resi conto che quello fosse sicuramente un bel colpo di fortuna per i miei piedi, ed anche un invito da parte di Mario a lasciare l'auto e fargli compagnia.

Poi, in sostanza fu una bella giornata, nel suo insieme, ma decisamente poco dimagrante, visto che camminammo poco. In compenso scovammo una di quelle trattorie paesane che sembrano inventate apposta per far crollare ogni proponimento di buona condotta alimentare. Lì davano il benvenuto presentando subito un tagliere pieno di salami di vario tipo di cui ci si serviva a piacimento. Poi acciughe al verde, peperoni in bagna caoda, uova sode con la maionese, lardo e pancetta, a cui seguivano primi secondi formaggio ecc.ecc., il tutto annaffiato da abbondante vino rosso.
Questo per dire che quando uscimmo dalla trattoria non mi vergognavo più di niente, probabilmente non mi ricordavo neppure com'ero vestita.
Alla sera, tornando a casa in auto, eravamo tutti e due silenziosi.
"A cosa pensi?"
Se Mario mi chiedeva a cosa stessi pensando era segno che l'effetto del vino non era ancora sfumato.
Così cominciai a ridere, ridere e ridere e non  riuscivo più a smettere.
"Vorrei sapere cosa ti fa tanto ridere!"
Avevo le lacrine agli occhi dal ridere.
"La nostra cura dimagrante!"