Quel giorno lontano, premiata in Castel Sant'Angelo insieme ad Andreotti

Quella data, 31 ottobre 2004, non la dimenticherò per vari motivi: ero ancora poco avvezza ai risultati positivi nei Concorsi letterari e scoprire che ero risultata FINALISTA quarto Concorso Nazionale di Poesia “Terzo Millennio” con Premiazione a Roma mi aveva emozionato oltre ogni dire. Inoltre la cerimonia si sarebbe tenuta nella famosissima Sala Paolina del Museo Nazionale di Castel Sant’Angelo, un simbolo misterioso, eterno, evocatore di miti e di poemi recitati, e grandi epoche di illuminati: un palcoscenico inimmaginabile per una "montagnina" come me. Come se ciò non bastasse ecco le prime avvisaglie al cuore: Patrocinio del Presidente della Repubblica, del Consiglio dei Ministri, del Senato, del Ministero dei Beni Culturali, prefazione dell’antologia Massimo Rendina, presentazione della Cerimonia Giuseppe Todisco, partecipazione e collaborazione di Giulio Panzani. Infine la botta: sarebbe stato premiato con noi “sconosciuti” anche l’Onorevole Giulio Andreotti, per uno dei suoi tanti libri, uscito in quel periodo. Ero elettrizzata. L’arrivo a Roma a mezzogiorno fu da vera turista, quasi una discesa dalle montagne come i Popoli antichi, con soste a piedi nei punti strategici, anche su una panchetta a lato del portone di Palazzo Chigi in Piazza Colonna (proprio là, dove qualche giorno fa è successo quel terribile fatto: subito infatti ho pensato se fosse capitato  a me, lì seduta a mangiarmi un panino scaldata dal tiepido sole d’autunno, che cosa avrei fatto, io, che cosa avrei provato…) Avanzando con calma (la Premiazione era prevista per le ore 16.00) ammirando i vari monumenti maestosi, i superbi palazzi, i cortili armoniosi, ecco giunti davanti a Castel Sant’Angelo. Un andirivieni frenetico ci colse: gli addetti alla sorveglianza stavano allontanando tutti i “vu cumprà”. In un attimo erano scomparsi, il piazzale antistante sgombro. I turisti venivano caldamente invitati ad uscire dal maniero, chiudevano e transennavano. In alto sorvolavano gli elicotteri. Io potei entrare perché esibii il mio Invito, qualche problema invece con i nostri due zainetti (eravamo giunti in treno e dovevamo anche trascorrerci la notte nel viaggio di ritorno). Finalmente dentro il cuore di Castel Sant’Angelo: era tutto per noi premiati, silenzioso e immoto, con le statue dismesse dell’Angelo a coprire con le sue ali di bronzo le nostre avventure di uomini (la statua sulla sommità viene periodicamente sostituita). I sotterranei del Mausoleo di Adriano offrivano i loro sepolcrali passaggi, seguendo labirinti a chiocciola e passaggi antichi, fino a salire su, in alto, con ampi e solenni scaloni esterni, e poi, lungo balaustre di pietra barocca, quasi appollaiata sotto la cupola squadrata, ecco la Sala Paolina, decorata e splendente di affreschi, statue e mobili ricchi di storia. Man  mano si accomodarono i big, Ministri e personalità del mondo culturale, fino a che fece il suo ingresso Lui: circondato da otto guardie del corpo, come un quadrilatero vivente. Venne premiato da Giuseppe Todisco e le due parole furono come al solito azzeccate: «Ho ricevuto tanti premi e dovrei esserci abituato, o magari dovrei mostrarmi in imbarazzo, ma a dir la verità, mi piace ancora troppo.» E a noi poeti seduti in sala: «Hai voglia, di ricevere premi!» Quando chiamarono il mio nome attraversai la sala per ricevere la targa dalle mani di Giuseppe Todisco, poi gli strinsi la mano: era seduto in prima fila, curioso e attento al viavai intorno. Dopo le foto di rito, potemmo gustarci ancora per un poco le volute armoniose delle logge di Castel Sant’Angelo, quindi riprendemmo la via verso Stazione Termini, nell’imbrunire dolce della sera. I lampioni illuminavano i giardini in ombra, l’aria immobile portava ancora l’eco di una tardiva estate, il sabato sera si elettrizzava nell’attesa della notte. L’EuroStar o “Pendolino” attendeva, con la sua cabina letto. Pensavo di non riuscire a dormire, ma, cullata dal ritmo del treno, mi lasciai andare al sonno, negli occhi ancora impresse le immagini di una giornata “da fuochi d’artificio”.   LA POESIA   UNO SCRIGNO È L’AMORE   Quel vuoto in me ora non c’è più, la solitudine si sgrana in mille schegge e rotola in un angolo della vita.   Ecco il sole, la luce.   Il cuore si aprì ‐ perché egli venne ‐   Si schiuse alla vita ‐perché egli mi avvolse‐   E cantò nuovi romanzi.   Ora lucido d’oro e d’intarsi questo scrigno dove racchiusa è la mia anima.