Sternatia - tratto dal romanzo inedito HOBERTUS

Sternatia

Così antica , viveva  e faceva vivere il magnetismo di ogni cittadina del sud, da cui si vuol fuggire, ma dove poi sempre si ritorna. Uno stemma terribile sormontava alcuni edifici antichi della città e le chiese, ed il meglio conservato era certamente quello sul portone della casa di Hedna, in corso Umberto I, datato 1608: lo stemma raffigurava un dragone inserito in un mappamondo stilizzato e simboleggiava la forza. Secondo alcuni l'animale rappresentato nello stemma di Sternatia sarebbe un basilisco, leggendario serpente che, nelle credenze medievali, uccideva le sue vittime con il solo sguardo. Le leggende popolari raccontano che il basilisco nasca dall'uovo di un gallo; infatti, si crede che se un gallo viva sette anni, covi un uovo che dischiudendosi faccia poi nascere il terrificante rettile dallo sguardo assassino.
Forse Cosimo aveva questo desiderio e stava tentando di riconoscerlo:  incrociare per una volta nell’esistenza datagli in quella terra dannata uno sguardo indiavolato che gli facesse paura, che gli aizzasse la voglia di attaccare e sbranare. Un maestre forse. Cosimo era un cucciolo di giaguaro, vulnerabile, sopprimibile, ma capace di staccare un braccio con un morso; e soprattutto in estinzione.
Bisogna cambiare ‐ ripeteva a sé stesso, all’inizio con cadenza settimanale, all’arrivo del tanto agognato week‐end, laddove il piacere degli altri non era il suo. Il dovere non gli apparteneva purtroppo, pur desiderandolo e sentiva i momenti di piacere come vuoti che ricolmava di rabbia. Un anno passava, e la cadenza delle sue imprecazioni si faceva sempre più fitta, giornaliera, tra le montagne innevate, le estati dell’ altrui serenità , l’amore di Hedna sempre pronto, ma egli mancava a sé stesso. ‐ Bisogna cambiare!‐ Purtroppo la cultura che aveva, risuonava completamente inutile ed autoreferenziale in un paesello di 2.496 abitanti. Si sentiva un montone.
Tutti i lavoretti erano stati fatti : la campagna, il meccanico, il pane, il cameriere, il redattore del mensile locale, la stagione al mare, il grande mare vicino, l’aiuto allo zio imprenditore. Ma era un fatto di identità.
Cosimo non c’era, mancava a sè stesso.
E la condizione che viveva era aspramente acuita nel suo dolore dal fatto di non essere capito e di non avere nessuno con cui dialogare o sfogare la frustrazione di una mente sana che letteralmente stava  andando alla malora. Hedna la sua vita se l’era rifatta, dalla Grecia all’Italia, o meglio da Atene a Sternatia. Una ragazza cosi dolce, era per lui la missione d’amore. Diventare nuovo per dare al suo piccolo amore tutta la bellezza che Atene non aveva avuto per lei. Anche in un piccolo paese dal quale non poteva più andare via.

RITRATTO DELL’AMANTE

Aspron e’ tto chartì, aspro e’ tto chioni,
Aspron e’ tto chaladzi, aspri ine i krini,
Aspro to sfondilòs‐su ce i vrachoni,
C’echi is’o’ ppetto dio mila azze asimi.
Isèa se kaman dio mastoroni
Ce se pingézzane i aji serafini;
Ce se pingezzan ce se kaman oria,
Pu ’e’ ss’echi de’ is’in ghì manku is’in gloria.

RITRATTO DELL’AMANTE

Bianca è la carta, bianca è la neve,
Bianca è la grandine, bianchi sono i gigli,
Bianco il tuo collo e le braccia
Ed hai nel petto due mele d’argento.
Te, t’hanno fatta due maestroni
E t’han dipinta i santi serafini;
E t’han dipinta e t’han fatta (così) bella
Che come te non ce n’è né in terra né nella gloria (del cielo).

Cosimo aveva genitori malati. Negava a se stesso la possibilità di fuggire via, nonostante ogni giorno, nei momenti meno depressi, cantasse “Ciao amore ciao” di Luigi Tenco, poiché il senso di colpa che avrebbe avuto qualora fosse  accaduto ai genitori qualcosa in sua assenza, lo avrebbe ammazzato più della rabbia che avrebbe provato nel rimanere nel piccolo innocuo paesino.