Compromesso con la morte

Orazioni, citavo alla morte,
affinché mi lasciasse del tempo.
Il suo pronto riscontro dicea:
"Ma certo, convengo,
benché il restante non più t'appartenga".

All'ermetica risposta,
se un lato mi rendea indubbio conforto,
l'altro palesavasi un enigma bello e buono,
a scapito del mio pensier or speranzoso.

E allor salii al pennone d'un vascello galeotto,
ch'ea parso ben disposto al mio fare clandestino.
Scrutando, d'alta quota, il cielo ognor turchino,
rievocante lunga chioma della fata di Pinocchio
e trascritto un annuncio alquanto ambiguo,
lo inserii nella bottiglia,
inversomil tanto quanto veritiera,
sì forgiata solo d'aria mista a vento,
con l'intento che ruotasse lungo tutto l'orizzonte,
e ancora oltre,
fin laddove si lambiscon i confini d'universo:

"Tale tempo che rimane il suo favore non ti degna.
D'esser tuo, non ha intenzione. Esso più non t'appartiene".
Enunciò, sorella morte, con l'aggiunta di parole,
ben cosciente della mia fervente mente,
che, all'inverso, alla frase sibillina restò inerme.

Per cui sorse, imprescindibil, la domanda dalle labbra,
giustappunto in ricerca di risposta:
"Ma, alfin, chi n'è il padrone?".

Possa, dunque, chiunque legga il mio messaggio,
cimentarsi a rivelarne il rompicapo,
prim'ancora d'affannarsi a fornirne il risultato
o il dubbio inverecondo saprà roder l'intelletto,
per il tempo ch'è rimasto al mio cospetto.

Detto fatto, scagliai in aere tale oggetto.
Di riflesso, soffermai lo sguardo attorno,
mentre il velo dell'arcano si dissolse,
sospingendo, mano a mano,
sguardo mio ad ammirar il quieto mare così immenso,
cantastorie affascinante,
che sapea ammaliar la gente, dietr'al suo sublime canto;
le distese di montagne, erte al sovrastante cielo;
i lor fianchi, biancheggianti o verdeggianti,
emananti le fragranze stagionali.

E l'imperituro sole, incontrastato imperatore,
sì fulgente di chiaror, nel levitare
e svelante le purpuree sfumature, nel soave tramontare.

Poi Selene, sempiterna, sibillina luna altera,
d'inceder, al crepuscolar in quel di sera,
da nivea regina, palesavasi fiera.

Alfin, l'eterne stelle
trapuntant'il manto di velluto nero,
simil pietre iridescenti, lo rendean assai prezioso
col loro scintillante palpitar vezzoso.

Stranita, alfin sorrisi,
dirimpetto all'eclettico capolavoro d'egocentrici elementi,
ch'ambendo il mio spettante tempo,
sancivan, ch'attraverso, mi concedean cotal permesso:
sollazzar il rimirante sguardo,
già fattosi attento;
consolar il core solitario,
dianzi un poco affranto;
coronar l'immortale spirito d'immenso,
innanzi inappagato.

A chi ea dovuto il tempo mio, se non a loro?
Ne avea ben donde avuto motivo,
d'un paritario decretar, madama morte;
onde per cui, onde accettar sì sagace compromesso,
non restò ch'abbigliarmi di buonsenso.