Più non ricordo in quale giorno

Più non ricordo in quale giorno
accecati dal sole o dalla nebbia
quasi fanti sbandati senza guida
assordati dai colpi di un nemico sconosciuto
l’errore e l’illusione m’ ingoiarono la mente
annientarono pian piano col miele dell’inganno
le già deboli difese e trafissero l’acciaio degli scudi.  

Quanta ombra si distese sulla cenere dell’alba!
Quante nere bestemmie nella notte
senza luce e senza oblio!

Mi pareva il rosso del tramonto quel papavero vizzo
ingannevole fiore di tristezza.
Mi pareva purezza di fonte e non putridume di fogna
quel nettare amaro di cui ricolmavo i miei calici vuoti.

E mia madre a guardare i miei occhi perduti
mio padre a gridare il rancore
le orecchie incapaci di udire
l’incolmabile vuoto d’inutili giorni
impegnati soltanto a cercare quell’attimo breve
insetto nefasto ronzante
annidato in un angolo nero in fondo al cervello.

Nel mio labirinto le urla assordanti del toro del mito
l’assenza del filo di Arianna
un varco cercato con mille espedienti
e mai ritrovato
i voli di Icaro sempre più audaci
a bruciarmi le carni le vampe del sole
i gorghi profondi a privarmi dell’aria.

Ma bene ricordo quel giorno a noi destinato
in cui il tuo amore stupito entrò nei miei sogni
e con te ritornai nella vita, risalii le colline
mi ubriacai di albe e tramonti
baciai i tuoi piccoli piedi e le mani pulite
fragranti di pane appena sfornato
guadai mille fiumi per giungere al porto
né più temo il toro del mito
adesso che stringo nel pugno il tuo filo.