Il maestro racconta, storia d'altri tempi

"Ne ho trovato un altro, guarda mamma!" Il ragazzino era felice. Quella mattina presto era la sua prima uscita dal villaggio e si stava rivelando un successo. La madre si avvicinò a lui e con fare amorevole accarezzò il volto del figlio.
"Bravo Raghandi. Se continui così tuo padre sarà fiero di te" In realtà in quel periodo era semplicissimo trovare quel tipo di frutti, ma la donna non voleva smorzare l'entusiasmo del bambino. A sei anni era pronto per diventare un raccoglitore. "Adesso è tardi, dobbiamo tornare al villaggio. Tuo padre e gli altri uomini saranno rientrati dalla pesca" il bambino non protestò e a passo veloce si avviarono sul sentiero che conduceva al villaggio, ma il fumo alto nel cielo e l'odore diverso dal solito, allarmarono la donna.
"Raghandi, resta nascosto nel bosco. Vado avanti io" Il bambino si nascose, era abituato all'obbedienza. Il tempo passava, il sole si era alzato in cielo e adesso stava scendendo dietro gli alberi. La mamma non tornava e lui cominciava ad avere fame, tanta fame. In pochi attimi fu buio e il bimbo venne assalito dalla paura. Senza pensarci due volte, prese a correre verso casa.
Trovò il villaggio che era un cumulo di macerie fumanti. Raghandi tese le orecchie ma non udì nessun rumore strano, solo lo sciabordio delle onde e lo scricchiolare del legno bruciato. I suoi occhi si erano abituati al chiarore della luna e adesso vedeva distintamente dei corpi appesi a dei pali sulla spiaggia.Si avvicinò per controllare meglio. Erano tutti mutilati in modo orrendo e puzzavano di carne bruciata; lui osservò con attenzione, per nulla intimorito da quello scempio. Tra i vari cadaveri riconobbe alcuni anziani e alcune donne, ma ne i suoi genitori ne i suoi fratelli erano tra le vittime. Aveva sentito parlare i grandi di brutti racconti che adesso erano davanti ai suoi occhi. Dal grande mare arrivavano delle barche gigantesche con a bordo persone cattive: bruciavano tutto e caricavano la gente su quelle barche come facevano i pescatori del suo villaggio con i pesci; nessuno faceva ritorno. La mamma gli aveva detto che il loro era un piccolo villaggio e nessun uomo cattivo sarebbe venuto a prenderli. "Forse la mamma si è sbagliata" fu il suo pensiero.
Frugando tra le macerie trovò una cesta ancora integra con all'interno del pesce secco. Ne mangiò tanto da scoppiare, nessuno lo avrebbe sgridato. Adesso aveva sete e si incamminò verso il bosco, sapeva dove trovare l'acqua. Stava bevendo con gusto quando alle sue spalle sentì un rumore di passi, si diresse verso quel rumore con la speranza di incontrare qualcuno del suo villaggio.
"E questo cos'è?" Ringhiò l'uomo verso il suo compagno.
"E' un bambino, idiota" rispose l'altro.
"Ammazziamolo"
"No. Lo portiamo sulla nave, con gli altri." Il bambino era terrorizzato. Le due persone stavano parlando in una lingua incomprensibile. Avevano la pelle chiara, erano pelosi e puzzavano in modo orribile, dovevano essere gli uomini cattivi dei racconti. Lui non voleva andare su una grande barca e cercò di fuggire, ma fu tutto inutile, un colpo in testa e cadde svenuto.
Tremava dal freddo e dalla paura. Non vedeva nulla, ma sentiva lamenti di vario tipo intorno a sé, la puzza di marcio ed escrementi era nauseabonda e preso dal terrore cominciò a piangere, in silenzio; si addormentò singhiozzando. Fu svegliato da urla feroci, il buio era meno intenso, filtrava della luce dalle fessure delle assi della stanza.
"Hai paura?" Un uomo grande e grosso era sdraiato vicino a lui. Non parlava la lingua del suo villaggio, ma riusciva a capirlo e ancora tremante fece cenno di si con la testa. "Anche io, vedremo di sopravvivere, sarà un lungo viaggio."
Infatti il viaggio durò parecchi giorni. Raghandi aveva stretto amicizia con quel gigante che lo proteggeva e lo aiutava in tutti i modi. "Hanno ucciso tutta la mia famiglia" gli raccontò un giorno "avevo un figlio piccolo come te, se vuoi posso essere il tuo nuovo papà" E così fu; Dwaigo divenne il suo nuovo papà. Durante la traversata del grande mare morirono parecchi compagni di viaggio, chi per gli stenti o chi ucciso brutalmente dai carcerieri.
Quel giorno maledetto meno della metà dei prigionieri sbarcò sulla spiaggia, accolti da uomini armati che erano venuti a prelevarli per portarli nei campi di smistamento. Durante il viaggio Raghandi aveva appreso perecchie cose da Dwaigo, quelle persone li avrebbero venduti come schiavi nei mercati delle città.
Il campo di smistamento consisteva in un recinto di legno su uno spiazzo di terra battuta. Lui, insieme ad altri bambini, venne diviso dal resto dei prigionieri e caricato su un carro coperto. Salutò Dwaigo con uno sguardo e l'uomo ricambiò con un sorriso; non si sarebbero più rivisti.
Tutti i bambini urlavano e piangevano, ma lui no, Dwaigo lo aveva preparato. "Sarai preso con gli altri bambini e portato in un posto speciale, se sarai forte e resistente potrai sperare di cavartela." Lui era forte, avrebbe resistito e poi sarebbe scappato.
Il destino decise diversamente; fu inserito in una comunità gestita da schiave nere che dovevano insegnare loro a vivere con i bianchi, in tal modo avrebbero potuto servire nelle tenute dei signorotti locali. I bambini credevano di essere fortunati perchè cosi evitavano il massacrante lavoro nei campi, in realtà il loro destino sarebbe stato peggiore di quello dei braccianti, soprattutto quello dellle bambine.
Raghandi aveva delle doti particolari e la sua educatrice prese in considerazione l'idea di farne un vero servo da casa, non un semplice schiavo. Il tempo diede ragione alla donna, a quattordici anni Raghandi era un ragazzo forte ed istruito. Aveva già maturato delle esperienze in alcune case dei bianchi benestanti e adesso era pronto al passo finale; entrare ufficialmente al servizio di una famiglia di ricchi possidenti.
"Signora, sarò all'altezza della situazione?" Grazie a lei aveva imparato anche la lingua dei bianchi.
"Certo Raghandi, devi fare ciò che ti ho insegnato. Ricordati che sei uno schiavo e non devi mai, dico mai, controbattere un ordine dei tuoi padroni. Comportati bene e vivrai a lungo al riparo e con la pancia piena"
"Non tornerò più al mio villaggio?"
"Ragazzo, ti ho già spiegato come vanno le cose, nessuno di noi tornerà più indietro e moriremo tutti qui, da schiavi. Tu hai l'opportunità di vivere in maniera dignitosa, non sprecarla e ricordati di parlare la lingua dei bianchi in loro presenza, altrimenti penseranno male e saranno guai"
Il ragazzo annuì, come sempre; ma non voleva credere che sarebbe morto lì, lontano dalla sua terra.
La signora era riuscita a farlo entrare al servizio di una potente famiglia locale ma i primi tempi furono orribili. Non lavorava nei campi ma veniva trattato da schiavo ed umiliato tutti i giorni. Il padrone era un uomo duro che manteneva l'ordine e la disciplina a furia di frustate. Chi si ribellava veniva giustiziato senza pietà e i morti venivano rimpiazzati da nuovi schiavi. I tre figli erano peggio del padre e mantenevano uno stato di terrore in tutta la piantagione. Per tre anni subì angherie di tutti i tipi e più di una volta pensò di farla finita. Poi gli venivano in mente le parole della sua educatrice: "Ricorda che avrai sempre qualcosa da mangiare e potrai dormire al coperto. Se ti comporti bene avrai anche dei momenti di riposo, quindi sopporta e fai silenzio, sempre." E così faceva, anche se era difficile.
Quella sera sentì delle urla atroci, urla di donna e contro ogni logica del buon senso uscì dal suo tugurio e si diresse verso la fonte di quelle grida che provenivano dal fienile ai margini delle stalle. Sapeva di rischiare la pelle, ma quelle urla lo avevano traumatizzato. Si affacciò da una porta laterale, facendo attenzione a non farsi scorgere e restò paralizzato dal terrore.
I tre figli del padrone stavano seviziando in modo inumano una giovane donna di colore che poteva avere si e no dodici, tredici anni. Abusarono di lei in maniera indescrivibile, torturandola ed umiliandola in modo selvaggio e poi presero a picchiarla tanto violentemente che lei cessò di urlare. A quel punto uno dei fratelli fece cenno di fermarsi, la ragazza giaceva immobile. Adesso tutti e tre si erano calmati e stavano osservando quel corpo martoriato e udì chiara la voce del più vecchio dei tre "E' morta. Maledetta baldracca, è morta senza farci divertire fino in fondo" "Cosa ne facciamo del corpo?" Domandò uno dei fratelli "Buttatelo in mezzo al cortile, sarà di monito per tutti gli altri. Adesso andiamo a riposare, domani ci attende un'altra dura giornata"
Raghandi era ancora immobile. Non aveva fatto nulla per evitare quel massacro e se anche avesse voluto sarebbe morto. Tornò al suo dormitorio con quella certezza, non avrebbe potuto far niente e si maledisse per essere uscito ad andare a controllare.
Passò un altro anno. La scena di quella sera era indelebile nel suo cervello e aveva imparato ad assecondare i suoi padroni tanto bene che alcune volte si rivolgevano a lui senza insultarlo o malmenarlo.
Poi avvenne il fatto che avrebbe cambiato la sua vita. Da alcuni giorni si era accorto che i padroni erano più eccitati del solito e facendo leva sulla sua posizione riuscì a raccogliere alcune notizie tra gli altri schiavi: Stavano per arrivare la moglie e la figlia del padrone e la fidanzata del fratello maggiore. La casa doveva essere preparata in modo impeccabile per l'evento e pur di evitare la frusta lavorarono tutti senza tregua, riuscendo a far apparire quella fattoria al pari di una reggia. Il padrone era soddisfatto e come premio decise di dare qualche chilo di pane fresco agli schiavi.
"Non lo meritano papà, sono degli schiavi." Grugnì uno dei figli.
"Certo, ma almeno domani quando arriveranno le nostre donne non voglio che abbiano l'impressione di essere capitate all'inferno. Poi, appena saranno chiare le cose, torneremo ai nostri metodi"
"Sei un bastardo papà"
"Lo so, grazie del complimento"
Il carro con a bordo le tre donne arrivò di prima mattina. Per l'occasione si erano mossi i due figli minori accompagnati da un paio di uomini di fiducia, il padre e il fratello maggiore erano restati a casa per accoglire le nuove arrivate.
Raghandi aveva il compito di scaricare i bagagli e quindi era in prima fila, così avrebbe visto da vicino la sorella dei suoi padroni che si diceva fosse bellissima.
Estasi, ecco cosa provò. La ragazza non era bellissima, era stupenda. Gli anni passati in mezzo ai bianchi gli facevano apprezzare degli aspetti incomprensibili per la sua gente. Aveva la pelle chiara, di chi non si è mai esposto al sole, i lunghi capelli ramati e leggermente ondeggianti riflettevano sul candore del suo viso. Era magra ma già sviluppata e i suoi diciassette anni risplendevano al sole dei Caraibi in tutta la loro bellezza. Raghandi sentiva il cuore pulsare e le gambe cominciarono a tremargli.
"Ehi tu, scarto di animale, scarica i bagagli, svelto!" Uno dei fratelli stava inveendo verso di lui, ma diversamente dal solito non fu amareggiato da quelle parole. Si affrettò ad eseguire l'ordine con la speranza di potersi avvicinare ulteriormente alla ragazza. L'altro fratello notò il suo atteggiamento e rapido come il fulmine lo colpì sulla schiena con un bastone. Raghandi accusò il colpo e barcollante cadde in ginocchio. Era grande e robusto, ma il lavoro massacrante e la cattiva alimentazione troncavano anche i più forti. Per la prima volta nella sua vita ebbe l'istinto di reagire in modo violento, ma ciò avrebbe significato non poter più vedere quella splendida creatura. "Perdono padrone, perdono" Ristabilito l'ordine il padrone ordinò di darsi una mossa. Servi e schiavi esaurirono i loro compiti ed immediatamente tornarono alle loro mansioni.
A pranzo la famiglia dei padroni era riunita nella sala grande. Per l'occasione tutti i maschi avevano sospeso le loro attività e in onore delle ospiti indossavano gli abiti da cerimonia. Le donne stavano raccontando il loro viaggio, senza però riuscire ad attirare l'attenzione dei propri uomini, fino a che la figlia chiese a bruciapelo:
"Fernando, perchè hai bastonato quel servo?" La domanda fece ammutolire tutti i presenti. La madre stava per intervenire quando suo marito la bloccò. "Su Fernando, spiega a tua sorella perchè" Incoraggiato dal padre il ragazzo non perse l'occasione per infierire.
"Perchè quello scarafaggio ti stava guardando. Lui è uno sporco negro schiavo e non deve permettersi di guardarti, chiaro?" La ragazza non si fece impressionare dal tono del fratello. Lei, che aveva studiato con dei grandi maestri, aveva una visione del mondo molto più aperta degli altri.
"Era a pochi passi da me, per non vedermi avrebbe dovuto essere cieco o bendato e visto che doveva scaricare le nostre cose doveva ben vederci" Il fratello la prese male.
"Isabella sei la solita. Qui non sei a casa dove tutti ti adorano e rispettano, qui sei nelle piantagioni, in mezzo ai selvaggi pronti a sbranarti al primo segno di debolezza"
"Ora basta! Siamo qui per mangiare e goderci alcuni momenti di riposo. Non voglio che le vostre stupide liti mi rovinino la digestione" Il padrone aveva un debole per la figlia e lei lo sapeva, quindi restò al suo posto in silenzio; avrebbe avuto la sua rivincita in un altro momento.
Nei mesi successivi Isabella ebbe modo di capire la situazione infernale in cui erano tenuti gli schiavi. Le bestie nelle stalle erano trattate meglio, solo alcuni dei servi addetti alla casa erano trattati leggermente meglio, Raghandi era uno di loro. Forte della copertura paterna, la ragazza si prendeva delle libertà altrimenti impensabili e con il tempo riuscì a conquistare la fiducia del ragazzo che era chiaramente cotto di lei. All'inizio cominciò a studiarlo quasi come fosse un animale raro: uno dei suoi insegnanti, che più volte aveva rischiato la forca, le aveva insegnato ad apprezzare tutto ciò da cui siamo circondati, indistintamente dalla specie o dalla razza, persino le cose inanimate andavano rispettate; nelle sue vene scorreva l'antico sangue dei druidi Celti. Con il passare del tempo imparò ad apprezzare le doti di quel ragazzo e in un certo senso cominciò a provare per lui una sorta di simpatia, ma la cosa doveva restare tra loro due.
Era certa che se i suoi fratelli avessero capito cosa andava facendo con quello schiavo, lo avrebbero ucciso.
Un pomeriggio i due ragazzi erano al limitare della fattoria e la passione li travolse. Stavano godendo la loro gioventù quando delle urla disgustate sconvolsero i loro timpani: erano Gamedo e Baraban, i fratelli di isabella. I due presero a forza Raghandi, spingendolo a terra. Gamedo, il maggiore, si rivolse alla sorella: "lurida sgualdrina, pagherai per questo" e poi verso il servo "E tu, schiavo, soffrirai le pene del'inferno!"
L'indomani Raghandi si svegliò legato ad un palo,il padrone e tutta la famiglia erano riuniti sotto il porticato della casa. Alcuni schiavi erano presenti, dovevano assistere all'avvenimento per riferire agli altri cosa succedeva a chi osava toccare un membro della famiglia. Gamedo e i suoi fratelli si avvicinarono al prigioniero e Fernando lo colpì violentemente all'addome "Prendi questo, lurida bestia" Baraban estrasse un coltello e cominciò a pungolare una gamba di Raghandi. Il ragazzo sopportava stoicamente il dolore, sapeva che il suo destino era segnato, ma non voleva dare la soddisfazione a quei macellai di implorare pietà. Baraban ritrasse il coltello e con un colpo secco gli mozzò un orecchio. "Basta Baraban, non voglio che muoia così presto. Perchè tu morirai, lo sai? Mi senti dall'orecchio sano?" Gamedo stava fissando lo schiavo con odio viscerale. "Si, mi hai sentito: adesso voglio sentire te" Fernando prese una torcia appositamente accesa e la avvicinò al volto dello schiavo. "Lo senti, lo senti il fuoco che brucia? Questo è niente in confronto al fuoco dell'inferno dove ti sto per spedire!" Senza mai toccarlo con le fiamme, Fernando riuscì ad ustionare gran parte del corpo di Raghandi che continuò a restar muto. Il calore aveva reso la sua faccia simile ad una maschera. Gamedo guardò Baraban e gli ordinò di finire l'opera, il fratello prese una grossa tenaglia e stava per castrare il disgraziato quando Gamedo urlò "Fermo! Aspetta un momento" si girò verso la sorella "Questo e l'animale con cui ti stavi trastullando, forse stiamo sbagliando noi, forse provi qualcosa per questo escremento sputato dalla terra, forse potresti salvargli la vita. Dipende da te sorellina, vuoi salva la sua vita, o vuoi che muoia come è giusto che sia visto la violenza che ti a arrecato? Parla Isabella, vita o morte?"
La ragazza era con le spalle al muro, Gamedo l'aveva incastrata, avrebbe ucciso comunque Raghandi ma voleva che fosse lei a decretarne la morte pubblicamente, oppure, chiedendo salva la vita, lei avrebbe ammesso la sua colpa e sarebbe stata punita severamente.  Restò in silenzio a lungo, le lacrime che scendevano copiose sulle sue guance pallide, combattuta da mille contrasti e paure. Stava per parlare quando il padre intervenì a sbloccare la situazione
"Fatela finita ragazzi. Le nostre donne hanno lo stomaco debole"
Gamedo ghignò satanicamente, e disse "Baraban!"
Lasciarono Raghandi morente sullo spiazzo, nessuno doveva avvicinarsi a lui, pena la morte. Il ragazzo sentiva avvicinarsi la nera mietitrice. Gli apparve sua madre, che gli ricordò quanto fossero crudeli quelle persone bianche e risentì i racconti attorno ai fuochi, gli uomini bianchi erano peggio delle bestie feroci. Rammnetò gli ammonimenti di Dwaigo che aveva descritto cose orribili avvisandolo di stare alla larga da quei mostri e rimbombarono nella sua testa gli avvertimenti della sua educatrice "piega sempre la testa e non osare avvicinarti a loro" Eppure, nonostante tutte quelle persone a lui care lo avesserò avvertito della malvagita dei bianchi, lui stava per morire con impresso nella mente lo sguardo di Isabella, bianca come il latte e tutt'altro che essere mostruoso.
Amava quella ragazza, intensamente. Infine il gelido soffio della morte lo prese con sé.
"E poi maestro?"
"E poi basta, finisce qua"
"Ma cosa centra con le altre storie?"
"Assolutamente nulla. Oppure si?"
"Ma allora cosa vuol dire? E Isabella non amava Raghandi?"
"Troppe domande. Vi basti sapere che la ragazza, con la morte nel cuore, ha indugiato fino all'ultimo perchè un'ombra nella notte le aveva detto di non preoccuparsi di ciò che sarebbe successo, di fidarsi di lui che tutto si sarebbe risolto, infatti la sua storia non è finita qui"
"Resta il fatto che non centra nulla con le altre storie"
"Esatto. Ma il mio scopo era quello di scuotervi dal torpore: missione compiuta!"
"E adesso?
"Adesso facciamo merenda e poi vado a riposarmi"