Il Paese Vecchio e gli "Straci"

Organizzatore Giuseppe Toscano, presidente dell'associazione pro‐Pentedattilo. Relatori: il Sindaco di Melito di Porto Salvo Giuseppe Iaria e il prof. Pasquino Crupi, noto critico letterario calabrese.
Gli "straci" erano cocci di terracotta usati per armonizzare la muratura di pietra irregolare nelle costruzioni della Calabria contadina.
In questo libro ci si occupa però di cocci molto "sui generis": uomini passati al mondo della verità e parole ormai vecchie e dimenticate che facevano parte, fino a qualche decennio fa, dell'idioma parlato dalle classi agrarie insediate in quella fascia della Calabria jonica che va da Melilo a Bova, tra le vallate dell'Amendolèa e del Tuccio. Quindi figure a loro modo carismatiche che hanno avuto un ruolo e hanno fatto la loro parte, prima di piombare nell'oblìo della morte e di diventare parole che si estinguono nel giro di due o tre generazioni di uomini sempre più smemorati.
Vengono qui evocate anche parole ormai in disuso, legate come gli uomini all'economia di autoconsumo; infatti nella Calabria contemporanea la scomparsa dell'economia contadina ha determinato l'eclissi del lessico (legato alle stagioni, agli arnesi, alle tecniche) e del vulcanico laboratorio espressivo collegato alla vita comunitaria e fatto di imprecazioni, soprannomi, folclore, apparati paremiologici.
Quella sera ho voluto ringraziare l’avv. Giuseppe Tripodi sia per aver menzionato mio padre sia per l’averci regalato quest’opera che per noi melitesi è importante sia dal punto di vista letterario che di quello storico‐linguistico.
Devo dire anche che ho avuto l'onore di poter conoscere e dialogare con il prof. Pasquino Crupi che conosceva mio padre.
Il professore, conosciuto già come uomo d'indubbie qualità, sia letterarie (è scrittore e poeta) che politiche (ha svolto nella sua vita parecchi incarichi istituzionali a livello locale), mi lasciò sbalordito per la sua capacità di tenere sempre viva la conversazione; quella conversazione, che a detta di qualcuno, s'è persa già da qualche tempo e che dobbiamo recuperare per poter sicuramente vivere meglio e bene, come appunto quella sera.
V’ nviterei di andare a comprare questo libro che, senza essere anche presuntuoso, val la pena leggere per la sua semplicità e scorrevolezza e, a detta proprio del prof. Crupi, umile e popolare.
Devo dire anche che quella sera ho respirato una bella aria, e non quella fresca che ci ha almeno alleviato dal caldo che in quegli ultimi tempi è stato soffocante ma quell’aria che auguro a tutti sempre di respirare e cioè la giovialità, sinonimo di allegria, serenità e codialità.
Questo, in sintesi, quello che dissi nel mio intervento:
“Ho avuto la fortuna di leggere questo bellissimo libro regalatomi da te, Peppe Toscano, e ti devo ribadire oltre la gratitudine che ti ho dimostrato in un mio passato “racconto rimato” su Melitonline, anche la dimostrazione di come una persona di una cultura d’alto spessore come l’avv. Giuseppe Tripodi è attaccatissimo alla sua terra di origine (perché non tutti lo sono) dal passato povero e sfruttato da chi potesse averne l'occasione, dato la natura pacifica dei calabresi.
E' che, seppur in un periodo che non si augura a nessuno, quello della guerra e della povertà legata ad essa, è riuscito, con un linguaggio semplice e talvolta ironico, a cogliere e a trasmettere ai lettori, i protagonisti e le varie storie che hanno fatto del Paese Vecchio, più di Melito stesso, uno dei cardini importantissimi della storia della nostra bellissima cittadina e, ricordiamolo per l’ennesima volta, il Paese Vecchio E’ Melito.
Ricordando che mio padre, Saverio (detto "u pintu" per le macchie rimastegli sul volto, dopo aver contratto il vaiolo), ”scarparu” (calzolaio o ciabattino), è menzionato nel libro, colgo l’occasione di ringraziare l’avv. Tripodi che, con questa menzione, ha reso la mia famiglia, come tutte le altre anche menzionate, onorata di aver avuto un padre che, nel suo piccolo, ha contribuito con il suo attaccamento a questo quartiere, a costruirne, insieme a tutti gli altri, la storia.
Ricordiamoci sempre che come disse qualcuno (e che tutti noi giovani e vecchi abbiamo a cuore):”Chi non ha storia non ha futuro” e noi melitesi, quindi, sono certo che questo futuro ce l’abbiamo grazie ai nostri genitori che in questo modo ce l’hanno assicurato soprattutto insegnandoci i valori e i principi basilari per poter essere fieri di far parte di questa comunità e per far sì che questa storia continui.
Peppe, questa sera ci sono stato anche per incontrarci e, come al solito, ricordare i nostri amatissimi padri (il mio Sciavè “’u pintu” ed il tuo, Cicciu detto “baffa”, per colpa di una rana chiamata “buffa”, menzionatissimo nel libro) che furono legati da una profondissima amicizia e che hanno lasciato nei nostri cuori e non solo nei nostri, un vuoto incolmabile”.