L'ANNUNCIAZIONE

Io non sono mai stata riservata, non almeno nelle cose riguardanti me stessa. Al contrario sono una tomba se ciò che vengo a sapere, o mi viene confidato, riguarda altre persone. Per quel che mi concerne sono sempre stata molto aperta, anche troppo, ma siccome onestamente devo ammettere che non mi è mai importato granchè del giudizio altrui, o dei pettegolezzi, un tempo assai di moda, che avrebbero potuto prendermi di mira, ho sempre vissuto molto tranquillamente e ho sempre fatto quello che mi sembrava giusto per me senza curarmi degli altri. D'altro canto io mi sono sempre comportata alla stessa maniera col mio prossimo: non giudicare, regola numero uno.

Sarà forse per questi motivi che anche la mia maternità prima fu pubblica e dopo privata. Ho avuto una sola maternità, una figlia. Rimasi incinta mentre frequentavo il biennio all'istituto magistrale. Avevo 22 anni ed ero tornata a scuola per soddisfare un progetto di vita. Abitavo fuori Torino e così tutte le mattine prendevo un autobus per andare a Torino e, arrivata in città, davanti all'ospedale Gradenigo, c'era allora, la fermata del tram n. 2 che mi portava fino in Piazza Statuto: lì, all'inizio di Corso Francia, c'era l'istituto in cui studiavo io.
Così accadde che un mattino, anzichè fermarmi davanti all'ospedale in attesa del tram, entrai, e consegnai un campione che avrebbe dovuto essere analizzato e dissipare ogni mio dubbio: aspettavo un bambino oppure no?
Ero molto agitata e così chiesi di poter telefonare per conoscere il risultato. Allora, 43 anni fa, non c'erano tutti i problemi di privacy che ci sono adesso. Ebbi il numero e me ne andai a scuola.
Come avrei potuto tacere? In un battibaleno tutta la classe seppe che attendevo una risposta così importante. La mia era una classe di recupero, per cui c'erano ragazzi di sedici anni che dovevano magari recuperare solo un anno, ma c'erano anche studenti più adulti. La mia compagna di banco ad esempio aveva trentaquattro anni, sposata e mamma. Con lei avevo litigato perchè non mi perdonava di far vibrare il banco quando scrivevo, ma io non potevo farci niente. Così era capitato che un giorno avevamo avuto un battibecco che ci aveva in una frazione di secondo catapultate nella prima fanciullezza. Mentre ci dicevamo di tutto senza esclusione di colpi, ad un tratto ci eravamo rese conto di quanto fosse ridicola la nostra discussione, così avevamo cominciato a ridere, e anche a sopportarci a vicenda.

E venne il mattino del responso. Durante l'intervallo io corsi giù nell'atrio della scuola dove c'era un telefono. Dietro di me, se non tutta, buona parte della classe. Tutti scendemmo per le scale a rotta di collo, e poi, mentre componevo il numero dell'ospedale, e il cuore mi batteva in gola, i miei compagni aspettavano in silenzio.
Dopo posai la cornetta e mi girai verso di loro. E loro erano impazienti.
"Allora? Allora?"
"Positivo ragazzi!"
Seguì un boato, un baccano come solo i ragazzi sanno fare, Pacche sulle spalle, complimenti, strette di mano, evviva, mentre io me ne stavo lì come un'ebete, il sorriso stampato sul viso, e la mente vuota, ma così vuota!
Non ricordo se dissi mai al padre di mia figlia che una ventina di persone avevano saputo prima di lui che sarebbe diventato papà.  :)