Mantra

Liceo Scientifico, ore 8,10: puntuale come un cronometro la campanella segna l’inizio delle lezioni. Entro in aula già rassegnata ad annotare sul registro di classe i soliti ritardatari.
Nel brusio concitato degli alunni già presenti, mastico tra i denti un’amara riflessione sulla mancanza di direttive precise sul problema ritardi da parte del Dirigente scolastico, poi tiro fuori la piccola penna bianca e comincio a scorrere l’elenco. Naturalmente manca Sebastiano! Quando imparerà ad uscire di casa con dieci minuti di anticipo?
Bussano alla porta. –Avanti – urlo, pronta al rimprovero di prammatica. E invece lui mi si avvicina, indifeso nella sua timidezza, si scusa per il ritardo, come al solito, e mi chiede di leggere una cosa che ha scritto ieri sera, dopo cena e che vorrebbe io giudicassi, ma spassionatamente. – È un racconto, prof. .Vorrei tanto il suo parere ‐. Prendo il foglio e lo mando a posto, promettendogli di dargli un’occhiata nel pomeriggio, benché non lo meriti. La curiosità mi divora. Il racconto si intitola “Mantra”. Lo leggo tutto d’un fiato durante l’ora di intervallo. 


Il cuore le si era fermato in un dolce battito costante, in un solleticare leggero di emozioni tuttigusti. Non avrebbe mai pensato di poterlo vedere quella mattina, però era l’unica cosa che sarebbe riuscita a risollevarla un po’ alle 9.05, dopo un’ora pesante, e per giunta noiosissima, con quel vecchiaccio di Scienze, sempre troppo lontano dal pensionamento.
E invece era successo e ora era tutta uno smaniare eccitato, era irrequieta, stupidamente felice. Chi l’avrebbe distolta, adesso, dal pensare a lui tutto il giorno? Ma ormai era fatta! Era condannata a quel suo personale supplizio, che segretamente cercava.
Certo, non c’era poi da emozionarsi troppo! L’aveva appena intravisto di sfuggita mentre saliva le scale, avvicinandosi indifferente all’aula di Chimica che si trovava sullo stesso piano della sua classe. Puff! Era entrato, sparito dentro la porta, parlando senza entusiasmo con un suo compagno di classe, un tipo bruttino che però non le sembrava poi tanto insignificante, forse perché brillante della luce riflessa dell’altro. Almeno per lei, infatti, tutti quelli che lo circondavano, lo conoscevano, gli parlavano erano estremamente invidiabili, rispettabili, fortunati e lei avrebbe dato chissà cosa per essere una di loro.
Forse il suo problema era averlo posto su un piedistallo irraggiungibile e splendido. Forse non ce ne sarebbe stato motivo. In fondo era un ragazzo come tanti altri, ma i suoi occhi, i suoi occhi erano speciali.
Profondi ed intensi, tanto da farle mancare il respiro quelle poche, rarissime volte in cui si erano incontrati con i suoi, ovviamente per puro caso. Avevano il potere di trapassarla e trafiggerla come uno spiedino di frutta, la facevano sentire inadeguata, fuori luogo ed evanescente, uno spiritello schifoso che infastidisse il suo irraggiungibile eroe dagli occhi di giada. E allora lei, naturalmente, preferiva scappare via, rifugiarsi nelle dolci e molto più sicure fantasie della sua mente, ormai invasa da quella splendida figura, un flash idealizzato, un’icona che venerava quasi avesse una oscura sacralità fascinosa di cui non poteva più liberarsi.
Imperturbabile e tenebroso, con i suoi jeans di marca sdruciti, con quell’espressione sempre imbronciata come se il mondo intero non fosse alla sua altezza, il bell’adone probabilmente ignorava  persino  la sua esistenza. Eppure ciò che avrebbe voluto più di ogni altra cosa al mondo era conoscerlo, potergli parlare una sola volta, sentirsi rivolgere la parola una volta soltanto. Un semplice “ciao” l’avrebbe resa felice, a condizione che uscisse dalle sue splendide labbra, e l’avrebbe fatta sentire al settimo cielo. Se la prendeva con il caso, domandandosi stizzita come mai, nella infinita gamma di possibilità esistenti, nessuna fortuita occasione avesse mai permesso il tanto desiderato incontro. Eppure sarebbe bastato così poco! Un’assemblea di istituto, un casuale incontro al distributore di snack, un fortunato scontro‐incontro giù per le scale, quando la fiumana di ragazzi, tutti urla e spintoni, si sballottavano gradino per gradino, impazienti di guadagnare l’uscita al suono dell’ultima campanella. Immaginava diecine di queste situazioni e quando, al pomeriggio, la dimostrazione di matematica languiva sul quaderno, aspettando di essere risolta, si abbandonava al calcolo delle probabilità, facendone il suo passatempo preferito.
E in effetti era diventata una vera campionessa nell’ideare le situazioni più impensabili e assurde, indulgendo poi nell’infarcirle dei più minuti particolari e se ne compiaceva, calandosi mentalmente il quel fantasioso e perverso giochino ingenuo, fino quasi a credere che fosse realtà.
C’era solo un retrogusto amaro in tutto ciò: in fondo sapeva che le sue erano e sarebbero rimaste inutili fantasie, attimi di un sogno che sarebbe svanito, lasciandole come risultato tangibile soltanto la dimostrazione di matematica irrisolta sul quaderno.
La porta dell’aula non era ancora stata chiusa e lei, intavolando un pigro discorso fatto di –Ah sì!?‐ e –mmm…‐ mugugnati, finte risatine e battute distratte con il compagno rompiscatole, ne teneva d’occhio la soglia, sperando di vederlo ancora comparire. Improvvisamente se lo vide davanti, si era fermato un attimo quasi indeciso sul da farsi, se entrare o meno. Si guardava intorno e infine fermò lo sguardo proprio nella sua direzione. Nello stesso momento il suo cuore si fermò in stand by, poi cominciò a battere freneticamente quando lui, nei suoi jeans scoloriti, prese ad avvicinarsi. Lei, in un incredulo replay interiore, diceva: ‐ Sta venendo qui‐ …‐ Sta venendo qui‐ … ‐ Sta venendo qui‐ … ‐ Sta venendo qui‐ … ‐ Scandiva così quel suo frenetico mantra propiziatorio all’unisono col ritmo martellante del suo cuore: un battito ‐ Sta venendo qui‐ boom!… un battito ‐ Sta venendo qui ‐ boom!… un battito ‐ Sta venendo qui – boom!
Nei pochi secondi che ormai la dividevano dal bel tenebroso, aveva fissato lo sguardo su un punto imprecisato al di sopra della spalla destra di lui, che adesso le era molto vicina.
Cercò di ridere più forte alla pietosa battuta del compagno di banco, cercò di fare l’indifferente, cercò, almeno! Mentre la testa stava per esploderle in quel suo ossessivo, ritmico ripetersi –Sta venendo qui –
Il mantra si interruppe bruscamente e con esso il battito del suo cuore: ad un metro da lei, lui si era fermato. Con squisita naturalezza, la testa dei suoi sogni si era voltata in una plastica e lentissima rotazione verso destra…tutto il suo corpo l’aveva seguita e in un istante lui era uscito, per imbucarsi subito dopo nell’aula di chimica. La porta venne chiusa rumorosamente dal vecchio, odioso prof.
Le sembrò quasi di sentire lo sfracellarsi del suo cuore contro quella porta, mentre le sue morbide aspettative si scioglievano miseramente come un soufflé beffardo, sformato troppo presto. Flop.
Era troppo! Il mantra si trasformò in imprecazioni irripetibili e le lacrime ruppero la diga del cuore, inondandole vergognosamente le guance.
Sciogliendosi dalla sua posa innaturalmente indifferente e sensuale, fulminea si alzò dal banco e si precipitò verso il bagno delle ragazze, piantando in asso l’amico che continuava a dire stronzate.
Nella folle corsa riuscì, però, a vedere il volto dei suoi sogni che era appena uscito dall’aula: fissava divertito la corsa atletica di quella strana ragazzina, mentre un sorriso incuriosito già illuminava i suoi splendidi occhi di giada.