Una vacanza diversa

Quell’anno non stavo bene e anche l’estate sembrò risentire del mio stato di salute. Fu diversa da tutte quelle che l’avevano preceduta; un'estate opaca forse perché rinunciai alla mia consueta villeggiatura.
Non me la sentivo di tornare là dove conoscevo tutti e mi conoscevano tutti. Scelsi di trascorrere pochi giorni in una località balneare, non molto lontana dalla mia città, Roma, con l’unico vantaggio di risparmiarmi il faticoso viaggio per raggiungere la costa di mare della Sicilia meridionale, nel territorio del paese natale di mio marito, dove puntualmente dopo il matrimonio, trascorrevo le ferie estive.
Quando vidi quel paese per la prima volta, quasi quarant’anni fa, rimasi “perplessa”. Le case tirate su un po’ di fretta, per lo più abusive soprattutto nei piani superiori, con  i  muri di  mattoni “a giorno” senza intonaci esterni, tanto da rimanere tutte su quel colore tra l'ocra e il marrone proprio del tufo arenario con il quale, correttamente tagliato, erano fatti i mattoni. Case mimetizzate nel territorio, dall’aspetto esterno tanto ordinario quanto stupefacente in bellezza e varietà era ed è la costa di mare di quella provincia: Agrigento.
Riflessa nel mare cristallino si fregia di un’opera incredibile della natura, unica nella sua particolarità, la “montagna bianca” a scalini digradanti verso il mare, chiamata la «Scala dei Turchi» il cui nome ne riferisce la funzione nell’approdo di quel popolo invasore.
Altrettanto suggestiva, risultato delle sedimentazioni sui fondali marini, con innumerevoli inclusioni di fossili, è la costa di tufo arenario, il materiale dei muri delle case ma anche delle colonne e di altri elementi architettonici nei templi che s’innalzano nella famosissima  «Valle».
Il mare,  poi, è disseminato di scogli scuri sicuramente di origine vulcanica, più o meno vicini alla riva e più o meno alti: paradiso dei ragazzi da cui si producono in esibizioni, tuffi dagli stili più improbabili e spericolati, e con i quali mettono a repentaglio la loro incolumità.
Su tanto splendore la notte campeggia alto il faro, o meglio campeggiava, con il suo lungo fascio di luce che incantava chi, come me, andava ad ammirarlo o dalla spiaggia o dal parco della villa comunale.
Dalla villa che è sulla collina dove sorge il paese, lo sguardo spazia da est ad ovest su una costa da salvaguardare, secondo me, come patrimonio dell’umanità. Oggi vicino a questo faro, sul promontorio di Capo Rossello, ne hanno costruito uno moderno che non ha affatto il fascino dell’altro che accendeva l’interruttore magico della fantasia…! 
Quando si è giovani a volte si può sbagliare nel giudizio o semplicemente si sbaglia perché non si conosce, tant’è che i primi anni questi luoghi mi lasciavano indifferente, anzi  ci andavo controvoglia. Trovavo tutto fastidioso: la troppa luce mi abbagliava, il caldo torrido, quasi africano, era insopportabile, le persone talmente piene di sé da diventare antipatiche...
In seguito ogni cosa, lentamente, si vestì di significati più vicini al mio sentire o  forse tutto è rimasto uguale e sono cambiata io. Fatto sta che quando la diffidenza iniziale si è sciolta ed ho cominciato ad avvicinarmi senza timori a cose e persone, la luce mi dava piacere, sopportavo il caldo e simpatizzavo con tutti.
E quell’estate me ne dette la conferma. La vacanza vicino casa, sulla costa laziale, fu segnata da una struggente nostalgia che non mi aiutò certo a superare le difficoltà di allora. Mi mancò la terra arsa di quelle contrade polverose, il mare cristallino e il profumo intenso dei gigli bianchi che facevo fatica a non raccogliere dalle dune di sabbia finissima di quelle spiagge ancora selvagge.
Sentivo un vuoto... mi mancava la vivacità, la schiettezza e soprattutto il calore di quella gente che avevo imparato ad apprezzare.
La settimana nella cittadina del litorale laziale passò, ma non ha lasciato impronte nel mio animo, se non qualche ricordo sbiadito. Ricordo Andrea, il portiere di notte dell'hotel, un massaggiatore alla cui abilità mi affidai per trarne beneficio; i massaggi e l'attività fisica sono un valido ed insostituibile aiuto alle altre terapie farmacologiche o chirurgiche della medicina tradizionale. Il piacere del massaggio è di conforto al corpo e ti accarezza intimamente, ti fa sentire la vicinanza, il calore dell' ”altro”.
Nonostante ciò il ricordo del “mio” mare,  il suo contatto, gratuito, generoso, potente e imprevedibile, non mi abbandonò mai!
Sognavo il “suo” massaggio, le carezze dell’onda che arriva correndo verso la spiaggia mentre l’aspettavo seduta sulla battigia o su uno scoglio… o camminando nell’acqua vicino alla riva; avrei voluto inebriarmi con l’aria salmastra che spira dal mare nei giorni di tempesta o abbandonarmi all’abbraccio caldo dei raggi del sole distesa su un asciugamano o su un materassino che danza ad ogni passaggio di onda…
Infine, anche se sono consapevole della sua pericolosità, bramavo un’emozione sopra ogni altra: l’adrenalina che sale nel sangue, la sferzata di energia, lo schiaffo alla vita spenta, l’energia vitale che riprende quota… E’ l’emozione che mi trasmette il “mio” mare in burrasca, i marosi che s’infrangono violentemente sugli scogli o sui frangiflutti all’entrata di un porto o su quelli solo di protezione alla costa. Ogni  fragoroso schianto del mare sembra vada a stimolare i punti che la saggezza orientale chiama “chakra” in una sorta di agopuntura per procura; è come un fulmine che disintegra la negatività di cui sentiamo i dolorosi legami che, una volta spezzati, ci rilasciano piacevoli sensazioni di leggerezza. Una droga benefica della natura, a portata di mano, da proporre in sostituzione di quelle nefaste che si nutrono di sacrifici umani.
Il Mare, grande forza della natura, attrice di uno spettacolo insuperabile, può diventare elemento terapeutico come lo è per me il “mio” mare che amo incondizionatamente … amo sapendo di essere ricambiata.