Vagabondaggio

L’erto sentiero, costeggiato da fitte macchie di felci e rovi, comincia ad aprirsi lentamente ai miei passi, tra il verde bagliore dei campi irradiati dalle luci nascenti del mattino, simile ad un piccolo corso d’acqua prosciugato, serpeggiante per vaste pianure di erbe e di fiori selvatici.
In questo primo tratto esso è facilmente attraversabile: appaiono dolcemente le ampie distese di grano, con le loro spighe sottili e tremolanti, i fertili seminati dove risuona l’accesa nota del grillo, i pascoli ancora deserti, spruzzati di fresca rugiada. Più lontano, le pittoresche vigne fanno gradatamente la loro comparsa, coi loro muretti disposti a gradinata e i loro recinti di reti e canne, aprendosi a ventaglio incontro al decorso della luce sulle ombre della pianura ondulata. Il resto del paesaggio, sovrastato da un cielo quasi immobile, è un vero incanto della natura: un vasto sorriso di terre solitarie, uno splendore incontaminato che pare uscito da un quadro mirabile.
Là dove i campi di grano scompaiono quasi d’incanto, sono i grossi fichi d’India e gli oliveti secolari, il maggior pregio di questa valle immensa e leggendaria. E ancora, tutto intorno, solitudine estrema, una strana ebbrezza di odori e una pace dell’anima che porta via dal cuore ogni forma di amarezza.
Il sentiero si lascia ora invadere da enormi cespugli di more selvatiche: da ogni lato lunghissimi rami irti di spine si intrecciano con prepotenza, s’incontrano in alto e in basso, s’inerpicano là dove qualche misero ramoscello offre loro un valido appoggio. È il regno incontaminato del muschio, della felce, delle fragole di bosco, coi suoi profumi ancora freschi e intensi, coi suoi toni di verde luccicante, coi suoi recessi misteriosi, nascondiglio di chissà quale piccolo animale.
Su, ancora avanti, oltre l’immensa muraglia di cespugli; su per tratti quasi invalicabili, selvaggi, cinti da rocce laviche, fra alte ginestre in fiore, per alture ignote e severe, per costoni desolati, fino ad un promontorio maestoso che sembra parlare al cielo. Giunto sulla cima, il mio cuore mi porta oltre la vastità delle montagne, verso abissi mai rivelati, lontano dal rombo frenetico della città caotica.
Davanti a così tanto splendore, a così tanta melodia di luci, di verde e di forme, non posso che scrivere qualche verso:

Le messi fresche di rugiada
s’aprono come un calice all’alba.

E ancora:

Sognano i tristi oliveti
piegati dagli anni.

Oh! Quanta poesia sarebbe possibile estrarre da ogni singola, insignificante parte di natura! Un fiore appassito, il silenzio di una valle, lo scampanio di un gregge basterebbero da soli a creare l’arte del più sconsiderato poeta.
Sorrido quasi alla gioia inestimabile che la mia solitudine sa darmi: oscuri stati d’animo condivisi col verde lussureggiante delle valli amene, coi placidi orizzonti lontani, coi profumi inebrianti, allietato dalle brezze leggere, cariche di aria purissima, salubre, chiuso tra montagne colossali che mi rendono segreto al mondo. Inevitabile e assoluta fusione dell’uomo con la natura misteriosa e sconfinata! Non basta chiudere gli occhi e sospirare per assaporarla. Non basta fingersi straniero al cuore per contenerla. Poesia, poesia e musica è la sua forza ed ebbrezza di emozioni, sottili, delicate, inumane oltre ogni misura, ma avvertibili per un certo grado con l’anima e con la mente. Preludio di una poesia più lucida, più sincera, più profonda e potente. Ricchezza e fonte inesauribile d’ispirazione mai sperimentata altrove, sfiorata, vagheggiata, cercata giorno dopo giorno. Riaffiora timida e silenziosa la mia adolescenza e il ricordo di tanti versi scritti in lode ad amori lontani, alla bramosia di cose vissute, ormai perdute, di escursioni d’animo. Quanta ricchezza di sensi ha conosciuto il mio cuore! Quante esperienze uniche vissute da poeta! Sento che oggi tutto questo mi appartiene come non mai, mi fa sentire grande, felice più di allora. I miei occhi non vagano più alla ricerca di ciò che la mente chiede, perché sanno accontentarsi di quel che vedono. Mi basta il silenzio profondo di queste valli, l’azzurro del cielo vicinissimo, il bianco delle nuvole fluttuanti; mi basta sapermi felice e appagato. E la mia solitudine, così splendidamente cullata, non fa più paura al mio cuore.
Il mio vagabondaggio mi rende poeta.

Pubblicato in appendice a: "Silenzio di un giorno" (BookSprint, 2023)